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Utilitarismo didattico

L'utilitarismo didattico consiste nel considerare la conoscenza come un mezzo per una vita di successo, o per trovare lavoro.

La conoscenza è l'unica cosa che ci separa dall'animale, ed appiattirla ad un mero strumento di lucro è un assalto alla vera essenza dell'umanità.

Quante volte abbiamo studiato una materia a scuola per poi domandarci "ma perché la sto studiando, a cosa mi serve?" Ecco il germe del male che attecchisce nella mente di un giovane studente, rischiando che contamini la sua esistenza per sempre.

La conoscenza è universale e disinteressata. Essa non è bella solo e nella misura di poter essere sfruttata come un lasciapassare ad una vita più agiata.

Questa argomentazione suggerirebbe che la conoscenza è settorializzata; sei "autorizzato" a conoscere qualcosa solo se la tua carriera lavorativa ne beneficia? Un informatico non può (o meglio, non dovrebbe secondo questa logica) studiare la letteratura? O un letterato studiare l'informatica? La conoscenza vera è permeabile e trasversale: un informatico che legge poesia comprenderà meglio l’animo umano; un filologo che studia logica computazionale scoprirà nuove forme di pensiero.

Il male è spesso perpetrato dalla famiglia, che manipola il pensiero dicendo cose del tipo:

Studia o finirai per spazzare per terra

Fai <professione> e diventerai ricco, fidati

L'università è un ottimo investimento per la vita

Parole sacrosante, ma che derivano da un ragionamento fondamentalmente errato: che la conoscenza posseduta definisce meramente quanto sei spendibile nel mercato del lavoro, e la conoscenza stessa diventa così una merce monetizzabile.

La conoscenza è bellezza e la ricerca della bellezza rende felici gli uomini. Dire a cosa mi serve è un po' come dire a cosa mi serve la bellezza?

La risposta è che non serve a "qualcos'altro": è ciò che rende degna e piena la vita, dandole profondità, non solo funzionalità. La nostra società turbocapitalista e degradata ha dimenticato ogni senso della vita se non quello della costante ricerca di un egocentrismo selvaggio e spietato.

«Entgoetterung, “sdivinizzazione”. Era questo il neologismo che Martin Heidegger impiegava per esprimere il Tod Gottes, la “morte di Dio” evocata da Nietzsche. Il tempo del tecnocapitalismo planetarizzato è il tempo della morte di Dio e del sacro: l’epoca in cui l’essente nella sua totalità deve essere disponibile per la volontà di potenza illimitatamente autopotenziantesi; la quale non può ammettere zone franche e, dunque, lo spazio inviolabile del sacro e della trascendenza teologica.

A ben vedere, la struttura dell’odierno cosmomercatismo flessibile e assoluto è, insieme, per paradossale che possa apparire, sdivinizzata e teologica, atea e monoteistica, laicista e religiosa. È sdivinizzata, atea e laicista nella misura in cui, come si è adombrato in Il futuro è nostro (Bompiani 2014), spezza il legame con le tradizionali forme della trascendenza e del sacro: promuove l’ateismo consumistico, il laicismo edonistico, il piano liscio e desimbolizzato del mercato, l’egoismo individualistico acquisitivo, la riduzione concorrenziale dell’altro a semplice strumento.»

- Diego Fusaro, "Il turbocapitalismo vuole tutto per sé. Per questo non può tollerare la religione e il sacro"

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